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L’Etiopia è un interessante “museo etnografico vivente” con le sue incredibili popolazioni che hanno mantenute inalterate tradizioni e costumi millenari che ci portano ad ammirare un’umanità diversa e unica, tutta l’autentica magia dell’Africa che fa riflettere sull’evoluzione della specie umana, in un viaggio a ritroso nel tempo, alle origini della storia umana.
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AFAR: UN POPOLO MITO DEL CORNO D’AFRICA
Il popolo degli Afar vive a nord dell’Etiopia nella grande depressione dancala. Gli Afar sono un popolo fiero, interessante ed indipendente, per nulla sottomesso alle regole dell’autorità centrale. Quindi in tutta la Dancalia è d’obbligo chiedere l’autorizzazione prima di scattare una foto ad un membro di questa etnia, pena grosse ed onerose complicazioni. Orgogliosi ed alteri, arrivano in tenuta tradizionale ai mercati settimanali con cammelli, capre e sale da vendere per procurarsi le cose di prima necessità, gli occhi profondi e vivissimi a sorvegliare le donne che si occupano delle transazioni. La bellezza delle donne Afar è leggendaria, stupende e affascinanti, indossano veli trasparenti e colorati e presentano sul viso le tipiche incisioni nel viso. Si sa poco di questa tribù semi-nomade e delle sue origini. Secondo alcuni, gli Afar sarebbero i discendenti di Arabi mescolatisi con una razza caucasica ed emigrati in Africa dalla Penisola Arabica. Altri attribuiscono loro un’origine Egizia. Popolo di pastori nomadi che abitano quello che viene definito “triangolo Afar” e che comprende tre stati: Etiopia, Eritrea e Gibuti, parlano una lingua di derivazione cuscitica. Legati indissolubilmente al loro bestiame, gli Afar sono costretti a continue transumanze. Le abitazioni tradizionale sono a semisfera, realizzate con tralci e rami intrecciati ricoperti di stuoie. Sono case che possono essere facilmente smontate, trasportate a dorso di dromedario, e ricostruite velocemente per ricostruire il “burra”, l’accampamento. Quando le greggi necessitano di nuovi pascoli, caricano i loro averi sui dromedari e si mettono in cammino, lo sguardo fisso in avanti. Pur essendo musulmani Sunniti, convertiti nel X secolo sotto la pressione dei mercanti arabi, si sentono soprattutto Afar. Sono una società patriarcale ed in base al padre deriva il lignaggio, clan e tribù. Tatuaggi e scarificazioni sono identificative dei clan di appartenenza. L’appartenenza ad un lignaggio è determinante nella vita degli Afar, questa infatti impone obblighi ma nello stesso tempo offre un sicuro sostegno in caso di bisogno. La vita sociale è regolata da un codice tradizionale non scritto, regolamentato da una commissione alla quale partecipano gli uomini adulti appartenenti a diversi clan alleati fra loro.
VALLE DELL’OMO: POPOLI ANTICHI
DORZÈ
Popolo di laboriosi agricoltori anch’essi appartenenti al gruppo linguistico ometo, sono conosciuti soprattutto per gli indumenti di cotone che confezionano con vera maestria: sono anche abili tessitori. Singolare ed elaborata la struttura delle capanne, a forma di obice, alte anche 15 metri, costruite con bambù intrecciato montato su una struttura portante anch’essa di canna di bambù e rivestite di foglie di ensete – pianta tipica dell’altopiano etiope apparentemente simile al banano di cui in realtà viene utilizzato il fusto fibroso per l’alimentazione umana. Pur fragili all’apparenza, queste capanne possono durare fino a 60 anni, finchè l’azione del tempo e le termiti non hanno fatalmente la meglio.
I Dorzé, dediti all’agricoltura, hanno realizzato ingegnosi terrazzamenti per combattere l’erosione dei fianchi scoscesi della montagna. Il territorio abitato dai Dorzé, anticamente coperto da foresta tropicale, ha in parte cambiato aspetto: grazie al tenace lavoro dei Dorzé, vaste zone sono terrazzate così da favorire l’agricoltura; nonostante ciò non si ha l’impressione che qui la natura sia stata addomesticata, anzi, la vegetazione è ancora così lussureggiante che chiude ogni prospettiva visuale. La prima cosa che colpisce, visitando il villaggio di Chencha, abitato dai Dorzé, è la rigogliosa vegetazione equatoriale dalla quale spuntano, come tanti isolati obici grigi e fumanti, le tipiche capanne di bambù che, sia nello stile che nel metodo costruttivo, non si ritrovano in nessun’altra zona dell’Etiopia. Queste capanne non hanno camini per cui il fumo prodotto dalla combustione del fuoco che alimenta la cucina all’interno della capanna, esce in più punti dagli interstizi del rivestimento.
KONSO
Sono popoli caratterizzati dalla forte eguaglianza dei suoi membri l’organizzazione sociale dei Konso e dei Borana, è considerata e uno dei più affascinanti sistemi socio-politici dell’Africa, è divisa in classi di età, dette “gada” della durata di otto anni ciascuno e a cui corrisponde un preciso periodo simbolico: al primo periodo, che corrisponde al grado “dell’essere uomo”, succede quella del “progresso o dell’audacia giovinezza”, seguono poi quella del “montone o della calma e maturità”, quella del “leone o della potenza e saggia vecchiaia” e infine quella “dell’avvoltoio o inferma vecchiaia”, sistema che, assieme all’organizzazione assembleare, permette di mantenere un equilibrio sociale secondo una concezione che è stata definita dagli studiosi di antropologia “anarchia ordinata”. Il sistema sociale si avvale di un complicato sistema di ripartizione e rotazione tra i maschi delle responsabilità sociali e politiche che garantiscono la tribù dal pericolo che può nascere da una permanenza stabile di comando e potere.
I popoli Konso, sono tra le culture pastorali più complesse di tutta l’Africa: da un punto di vista antropologico i Konso sono essenzialmente un popolo animista: essi considerano tutto ciò che li circonda, piante, corsi d’acqua e fenomeni naturali come animati da forze occulte e da spiriti, venerano il serpente e, come i Borana, adorano “waq”, il dio del cielo, cui sono sottoposti numerosi spiriti legati alle risorse vitali delle popolazioni: dalle fonti alle montagne, fino alle anime dei defunti.
Dediti prevalentemente all’agricoltura, i Konso sfruttano ogni metro di terra disponibile terrazzando le zone montuose situate anche a notevoli altezze con puntiglioso e faticoso lavoro. Tra le attività artigianali la tessitura, che viene esercitata con grande impegno e perizia svolge un ruolo importante e redditizio: l’abilità dei Konso nel tessere le tipiche coperte di cotone chiamate belukos fa sì che esse siano richieste in tutta l’Etiopia. Oltre che nella tessitura i Konso sono altresì esperti nella lavorazione del legno con cui producono, non solo utensili domestici ma anche strane sculture chiamate wagas che rappresentano gli antenati o degli eroi defunti: si tratta dell’unico esempio di realizzazione di immagini totemiche fra i popoli dell’Africa orientale.
HAMER
Le donne Hamer indossano vesti di capra impreziosite da conchiglie cauri. La loro bellezza ed eleganza, universalmente riconosciuta dalle altre tribù, è motivo di onore e vanto per l’intera comunità. Le acconciature in stile “egizio” che sfoggiano le donne Hamer sfoggiano con grande fierezza, rappresentano uno dei più eleganti e gradevoli esempi di acconciatura elaborati dai nativi della bassa valle dell’Omo. Le donne preparano una mistura di ocra, acqua e resina, la applicano sui capelli e poi lavorano una ciocca dopo l’altra fino ad ottenere tante trecce color rame chiamate goscha, segno di prosperità e benessere. Gli aspetti più gradevoli di questo particolare look sono il taglio a caschetto e l’effetto lucente determinato dal grasso animale. Le giovani nubili aggiungono all’acconciatura delle placche di alluminio a forma di becco d’anatra e delle piume di struzzo.
Anche gli uomini Hamer adottano la classica acconciatura a treccine delle donne: elaborata in diverse e capricciose varianti la capigliatura presenta sempre una porzione di treccine che, scendendo verso la fronte, forma una specie di scudo triangolare, che viene arricchito con piume di struzzo.
Gli Hamer sono inoltre considerati maestri nella decorazione del corpo. Ogni ornamento ha un preciso significato simbolico: gli orecchini, per esempio, indicano il numero di mogli di ogni uomo.
DASSANECH
Le tribù Dassanech vivono di pastorizia e di un’agricoltura semplice ed elementare in basse capanne dalla forma emisferica, raggruppate in piccoli accampamenti, in perenne conflitto con gli Hamer con i quali si contendono i pascoli. Popolo di guerrieri, fanno grande uso delle scarificazioni. Il loro spirito bellicoso e guerresco sembra essere stato forgiato dall’ambiente in cui vivono, aspro ed impervio. Tradizionalmente pastori, i Dassanech vivevano tra Kenya, Sudan e Etiopia: nel corso dell’ultimo mezzo secolo hanno perso molti dei loro territori e si sono concentrati nella zona dell’Omo, dove si dedicano anche all’agricoltura (sorgo e mais principalmente).
Le loro capanne sono a forma di cupola, fatte con materiale riciclato (cartone, foglie, latta, tronchi), mentre la loro economia si basa principalmente sull’allevamento del bestiame, sebbene negli ultimi anni si dedichino anche alla pesca e all’agricoltura, privilegiando le colture del mais e del cotone. Come i Karo, anche qui le donne sfoggiano un buco tra il labbro inferiore e la punta del mento in cui mettono fiori, bacchetti di legno, piume di uccelli o spine di acacia. Le donne vanno tutte a seno nudo, con collane colorate e i capelli raccolti in treccine coperte da fasce di perline. I copricapi sono a base di materiale riciclato, come tappi di bottiglia e astucci di penne, mentre tra gli anziani è praticato il piercing auricolare con anelli di vario tipo.
MURSI
Le popolazioni Mursi sono gente molto socievole, coltivatori e allevatori, che occupano vaste aree del Mago e sono probabilmente la tribù più ammirata della Valle dell’Omo meridionale. Le loro capanne vengono realizzate con paglia e frasche su di una solida struttura di legno, all’interno vi convive l’intera famiglia composta, a volte, da più generazioni.
L’abito tradizionale, formato da una lunga pelle di animale annodata sopra la spalla destra, rappresenta l’unico indumento indossato dalle donne.
I Mursi hanno, come è consuetudine largamente diffusa tra le varie popolazioni della bassa valle dell’Omo, un amore morboso per la cura del corpo che si concreta qui nell’uso dell’ormai famoso e strano costume di deformare il labbro inferiore con l’introduzione del piattello labiale la cui grandezza determina, a queste latitudini, la bellezza e la desiderabilità di una donna. Usanze antiche e oggi canoni di bellezza e di desiderabilità: una moglie con un grosso piattello labiale può costare al futuro marito anche venti o trenta capi di bestiame. I piattelli possono essere in legno di balsa, per cui leggerissimi, o in terracotta; le donne usano una particolare cura nel realizzare il proprio piattello: l’argilla viene prima impastata con acqua fino a diventare un intruglio cremoso quindi verrà plasmata per formare il piattello sul cui bordo verrà creato il solco in cui sarà inserito il labbro poi, prima di procedere alla cottura, esso verrà ulteriormente inciso con disegni ornamentali. Gli antropologi sostengono che questa antica arte corporale sia nata non per creare bellezza, ma per rendere la donna ripugnante e toglierle il valore venale causato dal commercio degli schiavi.
Un momento importante e rituale al quale è possibile assistere nei mesi di Agosto, Settembre ed Ottobre, è il donga, la lotta con i bastoni che vede due giovani sfidanti scapoli battersi per dimostrare il loro coraggio e la loro forza alle donne in età di matrimonio. Gli incontri avvengono davanti all’intera comunità e oppongono due contendenti alla volta che si affrontano armati di un lungo bastone di legno, alto circa due metri, con un’estremità scolpita a forma di fallo. Oltre a proporsi alle giovani in età di matrimonio, chi vince si mette in mostra davanti all’intera comunità mostrando il suo valore e quindi acquista prestigio.
I Mursi sono molto superstiziosi, professano la più semplice religione che si possa concepire, hanno una paura rispettosa degli spiriti e nei loro riti utilizzano solo le materie indispensabili alla vita.
SURMA
Appartati sulle alture a ovest del corso inferiore del fiume Omo, nell’Etiopia meridionale, i Surma sono una delle realtà tribali meno conosciute. Allevatori di bestiame, soprattutto vacche e capre, sono rimasti chiusi in un secolare isolamento. La necessità di sopravvivenza, legata soprattutto ai pascoli, ha fatto sì che queste piccole tribù rimanessero intimamente legate alla propria identità di gruppo e ciò ha impedito fusioni culturali con le vicine etnie dei Mursi e dei Bume. Alti e snelli, con i caratteri tipici dei popoli nilotici, i Surma assomigliano molto ai Nuba del vicino Sudan. Con i Mursi, fanno parte di quell’ormai sparuto gruppo di etnie le cui donne portano ancora il piattello labiale che denuncia, come vuole la tradizione, quanto è stata consistente la dote. I Surma, usualmente, non indossano alcun indumento e hanno il corpo scarificato e dipinto; sono infatti dei veri maestri nell’arte della scarificazione e la loro fantasia è inesauribile: le donne ostentano scarificazione su entrambe le spalle, le braccia, sul seno e sulla pancia mentre gli uomini, oltre alle cicatrici ornamentali esibiscono onorevolmente sul braccio destro quelle relative all’uccisione di uomini di tribù rivali. Altrettanto suggestive sono le pitture corporali con la quale i Surma danno sfogo alla loro creatività.
KARO
I Karo, popolo di lingua omotica sono ormai un’esigua minoranza, infatti il loro numero si è ridotto tanto drasticamente da mettere a rischio la loro millenaria cultura, sono anch’essi noti per le splendide decorazioni con cui adornano il corpo e il volto. Tra tutti i gruppi etnici della valle dell’Omo i Karo primeggiano senza dubbio nelle decorazioni pittoriche dei propri corpi che eseguono utilizzando sostanze vegetali e minerali come il carbone di legna, la calce e le polveri minerali rosse e gialle. Queste decorazioni che rappresentano la massima espressione artistica di questa popolazione, non sembrano avere un particolare significato religioso o spirituale ma solo una funzione estetica e di distinzione sociale: l’intercambiabilità delle figure tanto amate da queste parti consente loro di “indossare” di volta in volta disegni diversi in relazione al ruolo ricoperto dall’individuo nel gruppo in quel determinato momento.
La donna, inoltre, aggiunge al tradizionale abito confezionato con una semplice pelle di capra allacciata in vita o sulla spalla, ogni sorta di ornamenti atti a rendere più rimarchevole il proprio aspetto: spille da balia, pettinini e oggetti di plastica di chiara fattura occidentale vengono applicate alle vesti; il collo adornato con collane di perline colorate o fatte con bossoli di cartucce vuote; conchiglie cauri e anelli metallici adornano i bordi del vestito. Le ragazze nubili portano come segno distintivo della loro condizione dei lunghi orecchini di alluminio.
Le acconciature di entrambi i sessi sono estremamente elaborate: quella delle donne viene realizzata con fango e burro in modo da formare una particolare calotta di densi riccioli sui quali viene spruzzata della polvere rossa; l’acconciatura degli uomini è invece formata da una calotta d’argilla che viene modellata direttamente sulla testa e, una volta secca, dipinta con pigmenti bianchi, ocra e grigi, e successivamente ornata e abbellita con piume d’uccello.
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